lunedì 6 marzo 2017

Garanzia Giovani. La mia esperienza

Nella affannata ricerca di un impiego, mi sono imbattuta in una delle opportunità fornite dallo stato per conseguire questo nobile obiettivo. Il governo Renzi ha stanziato non so quanti milioni di euro per fornire ai giovani una rete burocratica di servizi che aiutano non soltanto nella ricerca di un lavoro, ma anche nella formazione di un profilo professionale spendibile nel mercato del lavoro. Questa rete si sviluppa attraverso diversi punti, in cui pubblico e privato collaborano al fine di occupare i giovani, di sottrarli a quella condizione di inattività che caratterizzerebbe la nostra generazione, affranta e sconsolata, senza valori, né prospettive, manipolo di semi-analfabeti che bivaccano tutto il giorno sui divani acquistati a rate, e con grandi sacrifici, dai nostri genitori.

Ebbene, cercherò di illustrarvi brevemente il percorso che ho affrontato, un’avventura che ha confermato, ahimè, molte delle ipotesi nate dalle mie estenuanti quanto vane riflessioni sul mondo del lavoro, sul senso del lavoro, sulla sua dignità e qualità nella società contemporanea.
Tutto comincia con una semplice iscrizione sul sito di Garanzia Giovani, iscrizione che consta di due tappe. Facile, basta un click! Dopodiché, bisogna attendere la telefonata dell’ufficio di collocamento del proprio comune di residenza, telefonata che avviene entro i 60 giorni dall’iscrizione. A questo punto, si può procedere con il primo colloquio tenuto dall’impiegato dell’ufficio: questo colloquio, della durata di circa due ore, prevede una prima  parte di spiegazione del servizio e una seconda di tipo burocratico. Bisogna compilare una serie di moduli on-line, registrarsi al portale del servizio regionale, e infine ti viene assegnato un indice di inoccupabilità, ossia, in base al tuo curriculum e al tuo percorso di studi, la Regione ti dice quanto sei inadatto al mondo del lavoro e, sulla base di questo indice, l’azienda che in futuro ti assumerà, potrà godere di tanti sgravi fiscali quanto più alto è il tuo indice. Un laureato in Filosofia, come me, ha l’indice di inoccupabilità massimo, ossia 4. Dopo il primo colloquio, bisogna scegliere sul portale regionale, un’agenzia privata alla quale aderire. Ogni agenzia ha la sua “Vetrina dei servizi”, in cui informa l’utente sui corsi di formazione e sui tirocini messi a disposizione. Ne ho scelta una, quella che mi sembrava più fornita di offerte di lavoro e di corsi di formazione. Non mi sarebbe mai più capitata la possibilità di frequentare corsi di lingua, di editoria, di grafica in modo completamente gratuito! Una volta aderito all’agenzia, questa ti chiama per “la presa in carico” – lo stato e i privati prendono il NEET dal suo bel divano e se lo caricano sulle spalle per gettarlo di peso nel mondo del lavoro – che prevede un breve colloquio con il direttore locale dell’agenzia. Nel mio caso, sono stata catapultata in una scuola di estetica, a parlare del mio futuro tra teste di manichini, specchi e parrucche. Segue, dopo qualche giorno, il colloquio con lo psicologo, della durata obbligatoria di due ore. Si parla di Emerson, della formazione del soggetto, del fatto che devo avere degli obiettivi ben precisi nella vita. Alla fine, si passa nuovamente dal direttore dell’agenzia, il quale – ma questo è il mio caso – mi propone un corso di due settimane di “Gestione delle risorse umane”.

-Ma io… Sarei maggiormente interessata a quell’altro corso… Questo non mi sembra…
-Eh no, signorina, quel corso non parte. Devono esserci almeno otto iscritti.
-Ma non potrebbe partire in un altro paese, magari nel capoluogo? Non potrei farlo lì?
-No, perché ogni centro si contende la realizzazione di un corso. Nessuno sarebbe disposto ad indirizzare i propri clienti verso un altro centro.
-E invece per i tirocini? Ho letto offerte interessanti nella vostra vetrina…
-Ma no, quelli sono solo codici. Noi non sappiamo quali aziende offrano questi tirocini. A volte capita che qualche azienda chiami…
-Va bene, la ringrazio.

Me ne vado, pensierosa… Il direttore mi telefona e mi chiede “Beh, che ha deciso?” ed io “Non mi interessa”. “Ma tanto, piuttosto che stare senza far nulla” -“Beh, questo corso non è ciò che cerco. La sua agenzia millanta offerte che non ci sono” -“È una sua opinione”.
Fine della mia esperienza.

Tanti filosofi hanno detto che la conoscenza comincia con l’esperienza, che l’esperienza è il modo più immediato, spontaneo e autentico di conoscere la realtà. Tanti hanno anche detto che l’esperienza senza l’intelletto, le induzioni razionali operate dalla ragione mediante la sua attività creativa ed immaginativa, sono cieche, anarchiche e insensate. Ho voluto fare di questo insensato spreco di energie un’esperienza. Ho voluto trarre delle conclusioni, o meglio, degli interrogativi e dei dubbi da quello che mi è capitato.

Ad una prima occhiata, il progetto Garanzia Giovani mi è sembrato un’opportunità. Ad una seconda mi è sembrato  insensato. Ad una terza mi è sembrato un’organizzazione scientifica che coordina pubblico e privato al fine di sussumere il lavoro ai rapporti di produzione capitalistici. Detto in parole povere, un modo per non pagare i giovani lavoratori e farli sentire comunque soddisfatti, fortunati, speranzosi, parte attiva della società e del mondo produttivo e, d’altro canto, far sentire tutti gli altri dei parassiti travolti dalla psicosi di corsi di formazione pubblici e privati, scrittura del curriculum, assertività e determinazione,  che costituiscono solo uno spreco delle migliori energie e di cui beneficiano soltanto le agenzie private che lucrano sul senso di inadeguatezza dei giovani e sulle inefficienze del sistema d’istruzione pubblico. Perché la mia banalissima conclusione è questa: chi trova lavoro con Garanzia Giovani lo avrebbe trovato comunque, ma sarebbe stato pagato con uno stipendio “normale”. Chi, invece, non ha i requisiti per inserirsi nel mercato del lavoro, ne resta escluso. Se l’offerta lavorativa è ingannevole, quella formativa è assolutamente inadeguata. Si propone una formazione standardizzata, un pacchetto che viene offerto ai giovani senza alcuna cura per il loro percorso di studi, di lavoro, di vita, che non entra minimamente in competizione con la formazione privata. Un giovane che non ha potuto studiare, un giovane che ha studiato filosofia hanno forse le stesse esigenze? Vogliono fare lo stesso mestiere?  Non sono interrogativi che ci si pone perché c’è la crisi e va bene qualsiasi mestiere. Dietro questa ideologia si nasconde ben altro: la possibilità per i privati di percepire soldi pubblici senza preoccuparsi dei servizi che vengono forniti. Un tale spreco di risorse pubbliche non può che preoccupare e rammaricare profondamente.
Chi sono i “giovani”? E quali “garanzie” dovrebbe fornire lo stato a queste persone? Qual è il significato di queste parole e quale ideologia supportano? Giovani è una definizione biologica, ma anche sociale: per lo stato si è giovani fino a 29 anni… Ai trenta scatta l’anzianità. Abbiamo forse problemi differenti rispetto a quelli nati nel 1987? E il gruppo che comprende i ragazzi dai 18 ai 29 anni è omogeneo? Qual è il minimo comune denominatore di questa compagine? Un laureato in Ingegneria, un diplomato, uno studente di un Università privata, un lavoratore precario non hanno le stesse esigenze a livello formativo, né possono inserirsi nel mondo del lavoro con le medesime modalità. Né affrontano lo stesso ordine di difficoltà nella ricerca di un lavoro. Ma per Garanzia Giovani siamo tutti uguali, tutti “sulla stessa barca”, ossia giovani che non hanno nessuna prospettiva nella vita, che non sanno quello che vogliono e che dunque possono essere spinti a fare qualsiasi cosa pur di alzarsi da quel maledetto divano.


Se le cose stanno così, io non sono giovane e non voglio garanzie. Non mi sento inattiva, né disperata né inadeguata. Se mi guardo attorno, vedo i miei coetanei lavorare, contribuire alle spese della famiglia – altro che mantenuti dai genitori! – studiare, pensare, sperare… Vedo intorno a me forze produttive non riconosciute, ignorate, irreggimentate in etichette ideologiche. Vedo le migliori menti della mia generazione relegate nel senso di inadeguatezza. Aspetto il momento in cui riusciremo a volgere lo sguardo verso l’esterno, riconoscendo quell’inadeguatezza non più dentro di noi, ma nel mondo che ci è stato consegnato. 

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...