venerdì 22 aprile 2016

Tra storia, arte e natura: l'esperienza unica del Musaba

«Nel corso degli anni sono diventato un uomo. Ho viaggiato attraverso i continenti. Ma ho un solo legame profondo: con il Mediterraneo. Appartengo al Mediterraneo fortemente. Il Mediterraneo, re delle forme e della luce. E, nel Mediterraneo, la Calabria, luce decisiva e paesaggio imperativo.»



Dopo aver viaggiato per l'Europa, aver vissuto a Parigi, aver frequentato l'ambiente di Picasso e Le Corbusier, alla fine degli anni Sessanta l'artista Nik Spatari ha deciso di tornare nel suo luogo d'origine, Mammola, per dare vita ad un'esperienza nuova. Con la sua compagna di origine olandese, Hiske Maas, nel 1969 dà vita al Museo Santa Barbara, in un punto geografico che unisce tracce di un passato antichissimo, del passaggio romano, della presenza cristiana nella forma di un monastero certosino e poi cistercense, dei tempi moderni con la loro stazione ferroviaria poi dismessa: il tutto su di un'altura che sormonta un panorama calabrese, selvaggio e aspro, fatto del luccichio di un fiumiciattolo, di una pietraia, di fianchi di colline verdi di sterpi, di lucertole. Una superstrada col suo rumore sembra richiamare alla realtà del presente urbano, ma i piloni su cui la strada poggia sono dipinti e coloratissimi: segni lasciati da artisti di passaggio, che al Musaba hanno trovato uno spazio accogliente.
Il Musaba non è un luogo ma un'esperienza: le sue strutture sono abitate da Nik e Hiske e da studenti, artisti, visitatori a cui è dedicata una foresteria (oltre che da gatti pasciuti e amichevoli) e risuscitano, nell'essere ancora abitate e nel loro aspetto, le vestigia del passato. I tetti sono piastrellati, i cortili ospitano mosaici infiniti e ampie pareti libere aspettano ancora la creatività esuberante ed eclettica di Nik. Soffitti, sale, pavimenti, monumenti che fanno capolino tra le piante e lungo il sentiero, uniscono i simboli della tradizione cristiana, dalle storie dell'Antico Testamento alle immagini del Nuovo, a figure e stilemi del passato sumero, dalla storia di Gilgamesh a quella del Diluvio Universale; ogni simbolo, però, è filtrato da una mente immaginifica, tribale e punk. Alcuni simboli tornano più di altri, il riferimento alla coppia, a un che di mistico, al primitivo, agli animali del luogo che tornano sotto forma di compagni indivisibili dell'uomo e della donna, il personaggio di Giacobbe (alter-ego di Nik a cui è dedicato un grandioso affresco tra Michelangelo e i Pink Floyd, "Il sogno di Giacobbe", la cui realizzazione ha richiesto 4 anni, dal 1990 al 1994). Tutti simboli, però, proposti e riproposti in modo libero e anti-scolastico. Così, Cristo è crocifisso e risorto, però può anche avere otto braccia; Adamo ed Eva si triplicano, in una tendenza dal gusto futuristico a rappresentare il movimento; uno scarabeo nero, che ha accompagnato Nik nel corso del lavoro, può essere incluso nella raffigurazione della cacciata dall'Eden.
La grandissima opera musiva di Nik non è ancora un'opera compiuta, non è neanche lettera morta da museo: è un grande gioco, ancora in corso, sincretico e leggero. E il suo essere incompleto, oggi, dopo quasi 50 anni dalla fondazione del Musaba, sembra rivelarsi quasi
Nik Spatari e Hiske Maas negli anni Settanta
come un'intenzione, come un manifesto programmatico. Il Musaba, infatti, è un museo-parco-laboratorio, abitato e vivo, perennemente in progress. Studenti, volontari e artisti di passaggio possono contribuire al suo prendere forma giorno per giorno, così come negli anni Settanta la struttura per com'è oggi prese forma dai resti dismessi e abbandonati dei precedenti passaggi umani.
Il Musaba è un posto strano: unico nel suo fondere insieme natura e cultura (il "cotto" e il "crudo" di Lévy-Strauss), tra gatti beati all'ombra di steli piastrellate e lucertole che spiano benevole i mosaici e gli alberi da frutto, una figura umana in ferro alta 15 metri, filari di ulivi, un'enorme cisterna sotterranea, galline che razzolano senza allarmarsi per le presenze sconosciute. È un posto immune da fissità e conformismi, accogliente e fricchettone, giocoso, lisergico. Un laboratorio a cielo aperto da cui emergono opere psichedeliche, manualità da coltivare all'infinito, idee eretiche, allegrie libere ma inevitabilmente legate la territorio, alla Calabria aspra e solitaria, al Mediterraneo, culla di Nik e di tanta cultura troppo spesso trascurata.

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