domenica 28 febbraio 2016

"Lo straniero" di Albert Camus e George Brassens

Leggendo Lo straniero di Camus ho pensato ad altre creazioni del genio francese che gli somigliano: Ultimo giorno di un condannato a morte di Victor Hugo e La Mauvase Réputacion di George Brassens. Opere create e vissute su registri stilistici e in forme espressive molto diverse, ma affratellate da uno stesso slancio, intelligente e umano, e da un certo tono allo stesso tempo lieve e grave. La canzone del cantautore francese, che ha infuso nel nostro Fabrizio De Andrè il rigetto per la giustizia facilona e per il gusto collettivo verso la legge del taglione e i giudizi tagliati con l'accetta, racconta (senza saperlo) qualcosa del Meursault, protagonista de Lo straniero. Recita:


«Au village, sans prétention,
j'ai mauvaise réputation. [...]
Le jour du Quatorze Juillet
je reste dans mon lit douillet.
La musique qui marche au pas,
cela ne me regarde pas.
Je ne fais pourtant de tort à personne,
en n'écoutant pas le clairon qui sonne.
Mais les brav's gens n'aiment pas que
l'on suive une autre route qu'eux [...]
S'ils trouv'nt une corde à leur goût,
Ils me la passeront au cou...»

[Al paese, senza menar vanto,
ho una cattiva reputazione. [...]
Il giorno del 14 luglio
resto nel mio letto confortevole.
La musica che marcia al passo
non mi riguarda affatto.
Eppure non faccio del male a nessuno
non ascoltando il clarino che suona.
Ma la brava gente non ama che
si segua una strada diversa dalla sua. [...]
Se troveranno una corda di loro gusto
me la passeranno intorno al collo.]

Merita di essere ascoltata tutta, e infatti al suo ascolto rimando senz'altro, ma questi pochi passaggi mettono a fuoco gli elementi cardine del romanzo di Camus: il protagonista è un «petit bonomme», un ometto qualunque e tranquillo, senza qualità ma neanche malvagio, un signor nessuno che eppure è odiato da tutti. Il delitto (un omicidio nel romanzo, lo
sgambetto fatto a un contadino perché non fermasse la fuga di un ladro di mele) è compiuto senza alcuna pulsione malvagia, in uno stato di innocenza quasi infantile, e da solo sembrerebbe quasi non bastare a condannare un uomo che non ha mai inteso coscientemente fare il male, ma lo ha compiuto senza quasi accorgersene e senza un reale movente (Lo straniero) o accettandolo come effetto collaterale, piccolo male necessario a fronte di un bene inteso e voluto (lo sgambetto e la caduta del contadino, la salvezza del ladro nella canzone). Eppure, i due signor nessuno di Camus e Brassens sono odiati da tutti. Letteralmente odiati, e il resto del consorzio umano arriva a desiderarne la morte, anche (assurdamente) senza una stringente correlazione con il crimine commesso. Mearsault sbatte queste urla rabbiose in faccia al cappellano che cerca di estorcergli una conversione in cella: «Che importava se, accusato di omicidio, sarebbe stato giustiziato per non aver pianto al funerale della madre?».
L'omicidio di un arabo, la complicità con il ladro di mele, non sono che pretesti per far fuori due uomini fastidiosi, socialmente insopportabili, perché devianti, diversi, "stranieri". Mearsault appare mediocre e di carattere debole, incapace di odio come di amore, e non si strugge in pubblico per la morte della madre, e al contrario si svaga andando a nuotare e al cinema con una donna, che parallelamente accetta di sposare pur non sentendo di amarla particolarmente. La società potrebbe perdonargli il suo delitto, ma non questa sua malsana diversità. Lo straniero non piange ad un funerale in cui tutti pretendano che pianga, il protagonista di Brassens non canta festoso il 14 luglio, ma si rintana da solo nel suo letto. Resistenza al dolore o alla gioia imposti dalla società, anticonformismo emotivo, "stranezza": è questo il delitto inemendabile che rende gli imputati passibili di morte. La brutalità della giustizia asservita a questi osceni meccanismi e l'inumanità della pena di morte sono complementari a questa violenza larvata, non istituzionalizzata, che vuole tutti gli uomini omologati finanche nei loro sentimenti, rassicuranti nel loro essere come tutti, facilmente dominabili nel loro placido spirito di adattamento a qualunque cosa la società passi loro per "normale" e, proprio in nome della normalità, esiga da loro. Resistere a questo tritacarne sociale, a questa fabbrica di passività, significa rivendicare prepotentemente la propria individualità e il proprio diritto ad una mente pensante, a dei sentimenti autentici e non necessariamente approvati o condivisi, alla libertà di dissociarsi e di star soli, se si vuole.
Eppure, il diritto all'individualità non è un invito all'individualismo: al contrario, è solo rispettando le singolarità che una società può farsi autenticamente plurale, ugualmente accogliente per tutti. Pretendere di essere se stessi, senza con ciò chiudersi egoisticamente agli altri, è un diritto-dovere che ara il terreno in cui si potranno piantare rispetto reciproco, libertà sociali e civili, uguaglianza reale, educazione alla collettività. Citando un altro testo di Camus, e incarnando con le stesse parole lo spirito anarcoide di Brassens: mi rivolto, dunque siamo.

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