venerdì 1 novembre 2013

"Puerto Escondido" di Pino Cacucci

«Non l'ho mai sentita come una casa vera; le cianfrusaglie che ho accumulato alla rinfusa sono rimaste sempre in posizioni precarie, in attesa di qualcosa. Non c'è niente di indispensabile, qui dentro. Speravo di cambiare città per un motivo di lavoro, di innamoramento, di schifo per tutto, per un'occasione che forse non ho mai cercato sul serio. E magari sarei rimasto qui per sempre, a sopravvivere come ho fatto finora


L'anonimo protagonista trascina trascina la sua esistenza vuota e priva di stimoli in una Bologna asettica e inospitale, o almeno percepita come tale da quello che si autodefinisce «un disadattato» invidioso dei giovani che riescono ad essere (o apparire) felici. Ha una house ma non una home: si limita ad una sopravvivenza fisiologica. Inserito in modo maldestro e superficiale nella società, privo di legami affettivi e
scopi esistenziali, il protagonista che Cacucci mantiene (con un tocco di classe e una perfetta coerenza) nell'anonimato vive in uno stato di scontentezza cronica e solitudine. Le sue pulsioni più umane, ambizioni e sentimenti, sono come anestetizzate.
A scuotere la sua vita scialba e insignificante è il commissario Schiassi, un personaggio controverso, sanguinario ma estremamente bisognoso di affetto, praticamente folle, in ultima analisi assolutamente amabile. Prima cerca di assassinare il protagonista, poi si convince di aver trovato in lui il proprio unico amico e si salda alle sue costole. Proprio per sfuggire all'affetto del bizzarro commissario dal grilletto facile, il protagonista fugge alla volta dell'isola d'Elba.
Sulla sua strada incrocia Aivly, una donna misteriosa e intrigante che prima affascina il giovane fuggitivo e poi si richiude nella propria stranezza e nei suoi loschi affari. Il fulmineo e intenso innamoramento del protagonista è raccontato in un modo molto femminile: interiore, delicato, sofferto, come il relativo (brusco) allontanamento di lei.

«C'è stato un momento in cui forse ha smesso di fingere. Non so quanto sia durato, ricordo solo quella sensazione di naturalezza più forte dei nostri nervi contorti. La guardo di spalle, ripercorro la sua pelle, e mi cresce dentro una desolazione infinita, un bisogno di afferrarti e scuoterti e urlarti perché adesso sei così diversa.»


Prima catturato e ammanettato nella cabina di una barca, poi liberato (in maniera molto piratesca) in vista di una costa, il protagonista finisce innamorato e abbandonato, squattrinato e disorientato a Barcellona. Lì incontra altri giovani, figli come lui di una generazione smarrita e triste, che si stordisce nell'alcol e nella droga per rifuggire il senso di vuotezza, inadeguatezza, solitudine. Bazzica i locali più alternativi, resta coinvolto in zuffe, si fa di tutte le droghe che gli passino a tiro, si avvicina a Pill, punk nerovestita che si occupa di lettering e non ha mai fame. Arriva a pensare di fermarsi, almeno per un po'. L'illusione di aver trovato un senso e una casa vengono frantumate dall'arrivo sorprendente di Schiassi che spinge il protagonista ad una nuova fuga. Così, tra scambi di persona, viaggi esasperanti avventure contorte, il protagonista arriva in Messico.
Lì trova un «sole che carbonizza i capelli e fa colare il cervello dal naso», il compaesano Elio che prima lo deruba e poi lo coinvolge nel narcotraffico, ma soprattutto trova «un senso di vastità che in Europa si è estinto nella memoria genetica da almeno dieci generazioni».
A Puerto Escondido, meta di surfisti e di criminali, tra viaggi su una «corriera tenuta assieme coi miracoli», sparatorie, roghi di marijuana, tejónes e altri animali sconosciuti all'Europa, poliziotti-criminali, furti (subiti e compiuti), il protagonista trova nuovi amici e ritrova vecchie conoscenze. Forse è la sua destinazione finale, forse non può esserlo perché la ricerca di un senso è destinata a rimanere insoddisfatta. Di sicuro è la tappa di un'avventura dentro sé stesso e la vita messicana, coi suoi ritmi distanti dalla frenesia europea, è il nuovo paio di lenti con cui guardare a una vita rinnovata. 
"Puerto Escondido" non è uno spuntino, né un pasto ordinario, ma una colossale abbuffata che lascia un po' intontiti ma estremamente soddisfatti. È un libro estremamente accurato, brillante, caleidoscopico, ricco, divertente, trascinante. Ha uno spirito meravigliosamente interculturale, un sapore gustosamente picaresco. Cacucci è così dettagliato e documentato da far apparire verosimile una storia del tutto extra-ordinaria (sebbene ispirata ad un personaggio realmente vissuto, il veronese Claudio Conti). "Puerto Escondido" regala un'intensa voglia di viaggiare, di fuggire, di cercare, di innamorarsi, di farsi di peyote, di sfidare l'autorità. Il protagonista è così umano, così imperfetto, così disperatamente alla ricerca del suo posto nel mondo da farsi amare, da diventare un autentico amico dal quale non si vorrebbe più essere lasciati.
Un libro incredibile, variopinto e soddisfacente come pochi.

Nel 1992 Gabriele Salvatores ne ha tratto un bel film,
alquanto infedele alla lettera del libro ma altrettanto
fedele al suo spirito e alle sua suggestione.
Il protagonista (con il nome di Mario Tozzi) è interpretato
da Diego Abatantuono. Valerio Golino è Anita (Aivly)
e Claudio Bisio interpreta il bandito Alex (il
malinconico Elio del libro). Renato Carpentieri
interpreta il commissario Viola (lo squilibrato e adorabile Schiassi).

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...