sabato 15 giugno 2013

"Il Maestro e Margherita" di Michail Bulgakov


«Seguimi lettore! Chi ha detto che non c'è al mondo un amore vero, fedele, eterno? Gli taglino la lingua malefica a quel bugiardo! Seguimi lettore e io ti mostrerò un simile amore!»

Il Maestro e Margherita non è un romanzo, ma un autentico affresco: grandioso, ricchissimo, visionario, originale. Eugenio Montale lo ha definito "un miracolo che ognuno deve salutare con commozione". Un esercito di personaggi, verosimili o grotteschi, si avvicenda in una selva di episodi personali e collettivi, sullo sfondo di una Mosca e di una Eršalaim che a tratti si accavallano come per un contrappunto musicale.
La trama esplode e inizia a srotolarsi dall'incontro ai Patriaršie prudy di due letterati moscoviti, il direttore del Massolit Berlioz e il mediocre poeta Ivan Nikolaevič Bezdomnyj, con Woland. Quest'individuo si presenta come uno straniero loquace dall'aspetto bizzarro: origlia come per caso la conversazione dei due, che verte sull'esistenza di Dio, e si intromette. I due, perfettamente integrati in un ambiente culturale che fa dell'indiscutibile ateismo una bandiera, asseriscono con decisione che non esistono entità ultraterrene, e cercano di persuadere il diavolo della propria inesistenza, senza conoscere la vera identità del loro interlocutore.
Su questo imbarazzante equivoco, su una profezia sinistra che si realizza nel giro di pochissime pagine, su una decapitazione fulminea e spiazzante è imperniato l'incipit del libro. Woland, che incarna le forze oscure e richiama il Faust di Goethe con una miriade di similitudini, parallelismi e citazioni, si spaccia per un prestigiatore e si esibisce nel teatro di Mosca, scatenando una serie di eventi tragicomici che nel corso del romanzo conducono alla morte, in galera o in manicomio gran parte dei personaggi. Ad affiancare Woland c'è un seguito pittoresco, composto dal versatile Korov'ёv, dal demone-assassino Azazello, dalla splendida diavolessa Hella e da Behemot, un gattone nero dotato di spigliata parlantina, oltre che di modi a tratti servili e a tratti insolenti (credo il personaggio più appariscente e piacevole).
Solo a storia inoltrata il lettore incappa nel Maestro e in Margherita, e nella loro storia d'amore. Lui, uno scrittore reso folle dalle diffamazioni e dalle pessime recensioni dei critici riguardo un suo manoscritto, incontra Ivan Nikolaevič nella clinica psichiatrica dove entrambi sono ricoverati, e lì gli racconta del proprio incontro con Margherita, una donna sposata ed estremamente infelice.

«L'amore è balzato davanti a noi dal nulla, come un assassino in un vicolo, e ci ha colpiti entrambi, nello stesso istante. Così colpisce la saetta, così colpisce il coltello a serramanico. Ma lei, in seguito, sosteneva che non era successo così, e che noi ci amavamo già da tanto, tanto tempo prima, senza conoscerci, senza esserci mai visti.»

La malattia psichica di lui li ha allontanati, senza che lei avesse notizie della sorte del suo amato. Quando Azazello incontra Margherita e le lascia intendere di avere informazioni sul Maestro, lei accetta senza indugi di incontrare Woland. Per la speranza di rincontrare il suo amato, Margherita lascia il tetto coniugale, si trasforma in una strega e stringe un patto con Woland. La narrazione culmina nel variopinto e allucinato capitolo Il gran ballo di Satana, in cui gusto macabro, atmosfera vivace e fantastica e riferimenti storici dottissimi si intrecciano alla blasfemia che si addice ad un festino satanico, culminando con la scena forse più cupa e intensa del romanzo, quella in cui Woland uccide un uomo, ne versa il sangue nella coppa ottenuta dal cranio di Berlioz e lo beve sottoforma di vino, nel blasfemo rovesciamento della cristiana transustanziazione del vino in sangue.
La storia d'amore di Margherita e del Maestro si intreccia alle vicende di quest'ultimo, coinvolto e come posseduto dal proprio romanzo fino ad impazzirne, alle vicende di una marea di personaggi minori e ai tiri mancini di Behemot e Korov'ёv, che si dilettano fino all'ultimo dei capitoli (trentatré come gli anni di Cristo) a spargere panico e confusione; il tutto è situato su un piano narrativo che si alterna con un secondo contesto: quello altrettanto vivido della passione di Cristo, il "filosofo" Ha-Nozri, che fino alla morte predica invariabilmente che: «Tutti gli uomini sono buoni». Questo secondo piano narrativo coincide con il romanzo del Maestro, con i sogni che turbano fino alla fine Ivan Nikolaevič e con la storia tormentosa di Ponzio Pilato, che per duemila anni porterà con sé il peso della propria decisione, quella di lasciare che Ha-Nozri venisse ucciso, come una maledizione.
Seppure estremamente fantasioso, Il Maestro e Margherita è uno specchio realistico della società moscovita degli anni '30 (non a caso, il libro sarà pesantemente censurato e vedrà la luce in forma definitiva solo dopo la morte di Bulgakov): nell'intreccio dei singoli fili narrativi, Bulgakov inserisce e incastona la satira sociale, la polemica sull'assegnazione degli appartamenti, soprattutto la critica beffarda dell'ambiente letterario e culturale moscovita (molti personaggi sono il calco di artisti e letterati realmente esistiti; ad esempio, Margherita Crepax identifica il personaggio minore di Rjuchin con il poeta Majakovskij, del quale in tal caso si darebbe una rappresentazione a dir poco impietosa).

Il Maestro e Margherita è un intrecciarsi inquietante di alienazioni, capovolgimenti della realtà, straniamenti, e gronda di tocchi macabri e profetici. Bulgakov incontrò gravi difficoltà nella stesura dell'opera, di cui compì una tripla redazione, per giunta di continuo rimaneggiata, e nella sua pubblicazione. Stroncato dalla critica dei suoi contemporanei, represso e censurato dal governo, l'autore ebbe modo di scrivere a Stalin:


«Io considero la lotta contro la censura, di ogni natura e qualsiasi potere la sostenga, come un dovere dello scrittore allo stesso titolo degli appelli alla libertà di stampa. Io sono un feroce partigiano di questa libertà e dichiaro che uno scrittore che possa farne a meno somiglia ad un pesce che dichiara pubblicamente di poter fare a meno dell'acqua». 

Nonostante le sue convinzioni, Bulgakov fu così demoralizzato dalle avversità che bruciò la prima versione del romanzo, oggi considerato uno dei più grandi capolavori della letteratura del Novecento. Allora, visto che l'opera è fortunatamente arrivata fino a noi in un modo o nell'altro, è bello trovare un che di profetico nelle parole pronunciate da Woland, in riferimento al romanzo su Pilato scritto dal Maestro e anche da lui distrutto in preda allo sconforto: 

«I manoscritti non bruciano.»

2 commenti:

  1. Uno dei libri che ha segnato la mia vita. Bulma, come sempre hai ben reso l'atmosfera di questo libro a tratti raccapricciante a tratti profetico. :)

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  2. Questo libro mi è davvero piaciuto molto, così come la recensione. Davvero bella!

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